Quale lavoro fare? La teoria del rastrelloViviamo un periodo di grandi cambiamenti, pertanto interrogarsi su “quale lavoro fare da grandi” è assolutamente normale e fisiologico.
Intendiamoci: l’uomo ha sempre e costantemente vissuto “periodi di grandi cambiamenti” durante tutto il corso della sua storia. Soltanto che l’ha fatto a velocità diverse.
Mi spiego. Per adattarsi all’uso dell’automobile e alla sua adozione su larga scala quanto ci avremo messo? Una cinquantina d’anni?
A seguito della Rivoluzione Industriale ha progressivamente e mai totalmente abbandonato le campagne per approcciare questa nuova dottrina lavorativa. E anche li quanto ci avrà messo? I canonici 50 anni. Mezzo secolo, una generazione e mezza.
Quanto ha impiegato la nostra società ad abbracciare l’avvento pervasivo di Internet? Meno. Molto meno.
Alza una mano se avevi già un iPhone nel 2006.
Se l’hai alzata, abbassala.
Il primo iPhone è stato presentato da Steve Jobs soltanto nel gennaio del 2007. Strabiliante, non è vero? Sono passati soltanto poco più di 10 anni.
Eppure sembra un secolo.
Sembra che l’iPhone e con lui il concetto di Internet in mobilità, sempre comunque e dovunque, ci siano sempre stati.
La verità è che questo media, questo canale di comunicazione ha pervaso in modo rapido e radicale le nostre vite con una velocità alla quale l’uomo, nella sua millenaria storia di evoluzione (non sempre verso il meglio a dire il vero) non erano abituati.
Internet, Internet in mobilità perlopiù, si è preso a poco tutti gli aspetti della nostra vita, da quelli personali a quelli professionali, da quelli intangibili a quelli tangibili. Dai sogni alla realtà.
La crescita tecnologica che è compiuta dopo questa diffusione è stata smisurata e in pochi anni ci sta portando a toccare con mano quello che prima era soltanto il frutto del sogno bagnato di un nerd di fronte all’ultima fatica del regista hollywoodiano di turno.
Macchine che si guidano da sole.
Realtà virtuale (fatta bene).
Reti neurali.
Intelligenza artificiale.
Robotica.
Tutte queste cose non arriveranno domani. Sono qui, oggi.
E magari tu non te ne sei reso nemmeno conto, preso come sei dalla quotidianità delle scartoffie all’italiana.
Ma mentre noi compiliamo – a fatica – i moduli del 730, dall’altra parte dell’Atlantico, non troppo distante da San Francisco, ci sono loro, “quelli della Sylicon Valley”. I Facebook. I Google. Gli Elon Musk e le loro Tesla.
Già, perché il mondo si muove. E credimi, non si è mai mosso tanto velocemente.
Una volta ho visto un vecchio cartone animato in cui la Terra iniziava a girare velocemente. Tanto velocemente che il Gatto Silvestro non riusciva a raggiungere l’altro lato della strada, nella direzione opposta.
Allora il colpo di genio. Gatto Silvestro salta sul posto e la terra, ruotando, gli mette sotto i piedi proprio quel marciapiede che stava tentando a fatica di raggiungere.
Peccato che la vita non è un cartone animato. E che tu non sia Gatto Silvestro.
Se stai fermo dove sei, o al limite salti, non avrai la fortuna di ritrovarti proprio là dove volevi.
Certe onde vanno cavalcate. E per cavalcarle bisogna prevederle, sapere prima dove il mare sprofonderà e dove invece si alzerà con tutta la sua spinta.
Diciamocelo: Internet, nel tempo di un battito di ciglia, farà sparire una grande, grandissima percentuale dei lavori che conosciamo e che siamo abituati a svolgere.
La robotica rimpiazzerà l’uomo nelle fabbriche.
L’intelligenza artificiale svolgerà mansioni legate al supporto tecnico, a quello morale, all’insegnamento, alla statistica, alla diagnosi e a chissà cos’altro.
Le auto si muoveranno da sole, senza bisogno di un autista umano. E nemmeno di un benzinaio, visto che si collegheranno da sole – autonomamente – ad una colonnina di ricarica quando avranno “fame”.
Ripeto: non è il nuovo Terminator. E’ il domani. In alcuni casi già “l’oggi”.
Se questo articolo ti sta piacendo, fallo scoprire ai tuoi follower condividendolo sui social network: [shareaholic app=”share_buttons” id=”28162105″]
Dove si giocherà quindi la partita del lavoro e dell’impiego?
Bada che tutto questo non è necessariamente un male, per quanto abbia tutti i contorni di un B-Movie post atomico.
L’evolversi del lavoro, concepito come “fatica” in lavoro concepito come “svolgere un’attività” è un processo che ha una forte accezione positiva; una volta usavamo rastrelli per raccogliere l’erba e ci spezzavamo la schiena. Ora abbiamo macchinari alla portata di tutti che l’erba la sminuzzano talmente finemente che non occorre nemmeno raccoglierla. E’ forse stato un peccato mortale l’abbandono del rastrello?
Probabilmente si, per i produttori di rastrelli.
Se produci rastrelli e non ti accorgi che la domanda è pronta ad accogliere una nuova offerta probabilmente non farai molta strada.
Se pian piano innesti nella tua catena produttiva di rastrelli una catena parallela di tagliaerba, probabilmente di strada ne farai ancora parecchia.
Si tratta solo di aprire gli occhi e di fare le cose non perché le abbiamo sempre fatte così e andavano bene, ma perché dobbiamo essere convinti che vadano ancora bene e andranno bene ancora per molti anni a venire.
Probabilmente è più difficile di un tempo, ci sono più sfumature, più equilibri da pesare, ma se ci rifletti la regola è sempre la stessa, semplice semplice: tutto si basa sul saldo equilibrio tra domanda e offerta.
Prima di imbarcarti in qualsiasi iniziativa, poniti sempre la domanda: “quello che farò servirà a qualcuno tra cinque anni?”.
Se la risposta è si, fallo.
Se impieghi più di 5 secondi per rispondere “si”, aspetta altri 5 secondi. Poi risponditi di nuovo.
Se la risposta è “mah…” lascia stare.
Certo, per rispondere occorre conoscere. Conoscere come si muove il mondo, le sue regole, le sue tendenze. Può sembrare difficile, ma non è così complicato.
Oggi abbiamo a disposizione un accesso illimitato a tutto questo; prende il nome di Internet.
Già, quella cosa che usi per mettere “mi piace” alle foto dei gattini.
Dovresti soltanto imparare ad usarlo in maniera più critica e costruttiva per te stesso. Anche “andare su Facebook” serve. Serve perché – nel bene e nel male – ci mette di fronte la società con le sue voglie, i suoi idoli, i suoi miti, le sue mille facce. E’ un termometro (perennemente in stato febbrile) della nostra epoca e di chi ne fa parte.
E conoscere chi ne fa parte dev’essere per noi un obiettivo.
Aprire gli occhi. Essere curiosi. Essere affamati di perché, a costo di risultare irritanti.
Farsi domande. Darsi risposte.
Pensa a chi si è domandato qualche anno fa cosa fossero i Bitcoin, o se valesse la pena a metà degli anni ’90 di partecipare a quel corso di HTML (il linguaggio per sviluppare i siti web).
O a quelle aziende che hanno investito nella robotica, al servizio dell’automazione di fabbrica.
O nell’elettrico. Nelle rinnovabili. Nelle reti neurali.
Non hai davvero scuse oggi come oggi per dire “non pensavo si arrivasse a questo”.
Si tratta soltanto di tenere gli occhi spalancati e il cervello settato in modalità “ascolto”; tutto il resto verrà da se.
Mentre scrivevo questo articolo ho pensato più volte ad un libro scritto da Mauro Corona che si intitola “La fine del mondo storto”.
Racconta di quello che accadrebbe alla nostra società se un evento eccezionale ne resettasse regole ed equilibri e di come gli uomini, grazie al loro istinto di sopravvivenza, sviluppino l’innata capacità di concentrarsi sulle priorità.
Abbiamo tutti un po’ perso questa grande abilità, questo attaccamento alla vita, rassegnati come siamo nel cercare di dare un senso al superfluo.
Ti consiglio di leggerlo e di riflettere sulle priorità – in perenne evoluzione – del mondo in cui viviamo. E’ una lettura economica, che personalmente mi ha dato molto, aiutandomi ad apprezzare tutto quello che abbiamo e a non dare nulla per scontato.
Ti ho aiutato a risolvere un problema?
Dimostra la tua gratitudine con un piccolo gesto!
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!